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mercoledì 4 luglio 2012

Alcatraz


J.J. Abrams è un nome che, ormai, tutti conoscono.
Dopo LOST, una serie tv dal successo e dal seguito eccezionale in tutto il mondo (la cui eco non si è ancora spenta, non fosse altro che per le polemiche riguardo al finale), è sembrato assurgere allo stadio di vero e proprio Re Mida. Questo, almeno, per le case di produzione di Hollywood, che hanno fatto a gara per contenderselo e per mettergli in mano i brand e i progetti più disparati (da Mission Impossible a Star Trek, passando per un buon numero di serie tv nuove di zecca).
In realtà il tempo ci ha mostrato come non tutto ciò che è stato toccato dal novello Re Mida si è davvero trasformato in oro. In alcuni casi è difficile capirne il motivo (ad esempio vedasi come una serie di qualità come Fringe stenti già da un paio di stagioni e quest’anno sia arrivata vicinissima a una prematura chiusura), in altri, invece, è sotto gli occhi di tutti. Non indugiamo oltre, quindi, e togliamo subito ogni dubbio sul fatto che Alcatraz appartiene a questa seconda categoria.

Non si tratta, semplicemente, del fatto che la serie sia stata messa in naftalina dopo la prima stagione. Un fatto simile è capitato a diversi serial, molti dei quali belli, interessanti, ben realizzati e con ottime prospettive di crescita. Purtroppo non sempre il fatto di essere un prodotto di qualità va di pari passo con gli ascolti e sappiamo che per le case produttrici contano solo quelli (senza considerare come spesso vi siano divergenze di gusti tra americani ed europei: una serie andata male oltre oceano può avere un buon seguito qui e viceversa). Alcatraz, però, non appartiene certamente a questo gruppo.

Eppure, fin dal primo episodio, sembravano esserci tutti gli ingredienti che avevano fatto la fortuna di altre serie di J.J. Abrams come Alias e, soprattutto, LOST.
Tutto si apre con un gran bel mistero: la notte del 21 Marzo 1963 gli occupanti dell’isola carceraria di Alcatraz, detenuti, secondini, direzione, etc. scompaiono nel nulla senza lasciare traccia. Il governo si affretta a nascondere le prove: chiude Alcatraz con delle scuse e inventa finti documenti di trasferimento dei detenuti in altre carceri in tutto il paese, detenuti che, ovviamente, in breve tempo risulteranno passati a miglior vita per malattia, incidenti e via dicendo.
In realtà già a questo punto sorgono dei dubbi e si evidenziano le prime incongruenze (e i parenti dei detenuti? nessuno che abbia provato ad andarli a trovare nei nuovi penitenziari? per non parlare dei parenti dei secondini, tutti spariscono e nessuno dice niente?), ma la sospensione dell’incredulità è già stata ampiamente allenata in 6 stagioni di LOST e lo spettatore tenta di accantonare momentaneamente le domande sperando che prima o poi arrivi qualche risposta.

Questo l’incipit.
La serie vera e propria inizia oggi, quando uno di quei detenuti scomparsi 50 anni prima, ricompare, non invecchiato di un solo giorno e con, apparentemente, una missione da compiere. Come spesso accade nelle serie tv: personaggi diversi tra loro e che non sembrano aver nulla a che fare gli uni con gli altri, finiscono (più o meno) casualmente a indagare tutti insieme per risolvere gli enigmi (da questo punto di vista si segnalano, quantomeno, Jorge Garcia, l’Hugo di LOST sempre simpaticissimo, e il veterano Sam Neill; gli altri, compresa Parminder Nagra, la dottoressa Nela Rasgotra di ER, invece, risultano piuttosto anonimi e sottotono per essere tra i protagonisti, tanto da ispirare ben poca simpatia o empatia per le loro sorti, molto meglio i personaggi di corollario come il dottore e il direttore del carcere).
Il fatto è che le puntate si susseguono e, più che le domande e i misteri, è la noia a cominciare a regnare sovrana. Il format scelto, infatti, è quello di dedicare ogni nuovo episodio a un nuovo diverso detenuto che ricompare. Questo fa sì che ogni puntata sia molto a sé stante, quasi visionabile indipendentemente dal resto della serie, ma già dopo le prime tre o quattro il plot diviene ripetitivo e stucchevole.
Il fil rouge della continuità, che aveva decretato parte del successo di LOST, in questo caso è assente, così come sono assenti quei finali sul climax che ti facevano andare in crisi d’astinenza appena terminava la puntata. Non viene, quindi, voglia di andare avanti, anzi, è forse con un po’ di timore di annoiarsi che si passa al successivo episodio.
Una cosa che, invece, Alcatraz riprende da LOST è il meccanismo dei flashback, in questo caso ambientati nel 1963, prima della scomparsa di tutti i residenti sull’isola-prigione. Dovrebbe essere un modo per inserire qualche ulteriore mistero e creare curiosità, ma spesso si rivela un meccanismo controproducente perché, a volte, si svelano fin troppi particolari. In questo modo quando poi i detective dei giorni nostri scoprono qualcosa di nuovo (soprattutto nel finale di stagione), non si tratta più di una rivelazione, almeno per lo spettatore, e tutto risulta piuttosto deludente.

A tutti questi difetti va chiaramente aggiunto il fatto di arrivare dopo LOST. Se quella serie aveva rappresentato una novità, in Alcatraz molte cose sanno di già visto. Il protrarre e il continuare ad aggiungere misteri su misteri, poi, in alcuni potrebbe ingenerare il timore che tutto vada a finire in niente, come già successo. Lecito, quindi, che molti di coloro che sin son scottati con LOST abbiano deciso di abbandonare la serie, temendo di farsi male di nuovo.
Timore, tra l’altro, molto ben riposto. Al di là della chiusura anticipata della serie che ci lascia con alcune domande inevase (molte meno di quelle che si potrebbe pensare, in verità), il finale di stagione è davvero deludente. Non staremo qui a raccontare gli avvenimenti o a fare spoiler, per chi dovesse decidere di sacrificare qualche ora della propria vita (come ahimè abbiamo fatto noi) per guardarla, basta dire che le scottanti rivelazioni sono tutte ampiamente prevedibili (quando non esplicitamente mostrate, se si segue con attenzione) e quelle che non lo sono, risultano essere piuttosto banali e scontate. In definitiva è proprio qui che, per usare una espressione colloquiale, “casca l’asino”. Proprio come con LOST, dopo tante elucubrazioni, tante congetture, tante teorie, una più fantasiosa, grandiosa, arzigogolata, dell’altra, quello che ci si trova tra le mani come spiegazione è qualcosa di tanto semplice e basilare da non essere quasi neanche una risposta, e che lascia delusi.

Nonostante, quindi, l’ultima puntata termini con uno di quei climax che, sulla carta, dovrebbero essere belli grossi, tanto da spingere lo spettatore a correre subito a consultare la guida tv per sapere quando sarà il prossimo episodio… si spegne il televisore quasi con una sensazione di liberazione al sapere che, finalmente, è terminata.

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