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lunedì 23 luglio 2012

Robert Heinlein - "Straniero in Terra Straniera"

Autore: Robert Heinlein
Titolo: "Straniero in Terra Straniera"
Edizione: Club degli Editori
Anno: 1987

A volte è difficile trovare le parole per commentare quello che, pressochè unanimemente, è considerato un capolavoro della fantascienza mondiale. Inutile anche spendere ulteriori parole su come questo "Straniero in Terra Straniera" sia praticamente antitetico per argomenti, messaggio e visione del mondo rispetto a un altro grande libro di Heinlein: "Fanteria dello Spazio". 
L'unica cosa che rimane da fare, terminata la lettura, è solo quella di accodarsi allo stuolo di estimatori, lodando (come un mantra) il libro e l'autore. 
Perchè, allora, solo 4 stellette e non 5? Perchè non dare il massimo se si concorda sul valore di questo volume come masterpiece della SF? 
Semplicemente perchè, probabilmente, Heinlein avrebbe anche potuto fare di più e, lungo le pagine del tomo, lo si avverte chiaramente. I vari passaggi o capitoli in cui si snoda e articola la vicenda, hanno spesso toni e forza differenti, a volte addirittura fin troppo altalenanti tra loro. Se, infatti, l'inizio funziona molto bene, così come il periodo che il "marziano" passa a casa Jubal, subito dopo si avverte qualche scricchiolio. Stilisticamente a questo punto si perde di vista chi sia, in realtà, il narratore della vicenda. Per quanto tutto sia narrato in terza persona, spesso le cose ci vengono mostrate attraverso le percezioni che ne hanno alcuni personaggi, in particolare Jill o lo stesso Valentine Michael Smith. Quando torna utile allo scrittore per velocizzare, o saltare, dei passaggi, però, il narratore diventa Jubal o qualcun altro. 
Inoltre, soprattutto, ad un certo punto comincia a inserire alcuni intermezzi "angelici" che sembrano aver ben poco a che fare con il resto del libro. Perchè raccontare una vicenda in cui si ripete a ogni piè sospinto come le religioni siano, in realtà, create dall'uomo per tenere altri uomini legati. Perchè raccontare di come un uomo, che non ha avuto una educazione umana, riesca a capire tutto ciò proprio grazie al suo punto di vista "alieno" e decida quindi di creare a tavolino una sua propria religione nuova allo scopo di "liberare" gli uomini. Perchè scrivere il libro, con tutti i suoi messaggi, se poi mi si viene a dire che un Dio e degli Angeli esistono e che tutto, comunque, è un piano deciso dalle alte sfere con gli esseri umani come semplici pedine? Vanifica un po' tutto il senso del resto del volume. 
Per questo motivo è un capolavoro, soprattutto per il periodo in cui è stato scritto, ma non posso dargli il massimo dei voti a causa di alcuni difetti piuttosto macroscopici.

Terra Nova


Misteri della tv.
Potrebbe essere questo uno dei modi migliori per definire “Terra Nova”, neo-nato (e subito morto) telefilm prodotto da Steven Spielberg. Un titolo su cui si è molto investito sia dal punto di vista realizzativo (in particolare per la CG) che per quanto riguarda la pubblicità, tanto da essere presentato quasi in contemporanea in Italia e USA. Sotto il profilo della promozione, in particolare, nulla da dire: probabilmente son molti quelli a cui han cominciato a brillare gli occhi vedendo i primi trailer. Notando, poi, l’accoppiata Spielberg-Dinosauri, l’attesa non poteva che andare direttamente alle stelle ripensando a un film come “Jurassic Park” (ma solo il primo).
Saranno stati questi 2 fattori, sarà stata la pubblicità martellante, sarà quel che sarà… ma “Terra Nova” ha subito tagliato un più che ragguardevole traguardo. Negli Stati Uniti, infatti, il primo episodio è risultato l’esordio di un nuovo telefilm con il maggior numero di spettatori di sempre.

E allora come è possibile che la Fox avesse già deciso per la sua cancellazione prima ancora della messa in onda dell’ultimo episodio?

In realtà, forse, i segnali c’erano già tutti, bastava andare a spulciare un po’ i nomi coinvolti.
Sul gradino più basso del podio troviamo lui, il nome più altisonante: Steven Spielberg. Un tempo novello Re Mida di Hollywood e, ultimamente, divenuto capace di rovinare praticamente qualsiasi cosa tocchi. Ogni tanto qualcosa gli riesce ancora, soprattutto se si mette lui dietro alla macchina da presa (e qui niente da dire, la classe c’è sempre, peccato semmai per qualche contenuto), ma quando produce i risultati son più bassi che alti (a tal riguardo ricordiamo “The Pacific”, noioso tanto quanto era bello “Band of Brothers”; “Falling Skies”, ne parleremo/lo stroncheremo in un altro articolo; “Super 8″, inutile e sopravvalutato; “The River”, parleremo anche di questo; etc.).
Al secondo posto impossibile non metterci Jason “faccia da comodino” O’Mara. Già era sconvolgente e incomprensibile come avessero potuto sceglierlo per dargli la parte che era stata di John Simm nella versione americana di “Life On Mars”. Quello che risulta, però, fuori da ogni logica è che dopo aver dimostrato tutte le sue inesistenti doti attoriali in quella serie (che, ricordiamolo, aveva anche molti altri difetti… recuperate, invece, quel piccolo capolavoro della versione UK), gli abbiano affidato nuovamente il ruolo del protagonista in un nuovo telefilm, invece di rispedirlo a zappare la terra. Inutile dire che anche in questo caso non ha perso occasione per dimostrarsi non all’altezza.
Il gradino più alto del podio, però, se lo becca uno sconosciuto ai più: Brannon Braga. Ecco, negli ultimi 10 anni vedere il suo nome legato a una qualsiasi serie tv dovrebbe essere il giusto campanello d’allarme per qualsiasi fan. Dopo una fortunata parentesi iniziata e terminata con alcune serie recenti di Star Trek come “Next Generation”, “Voyager” ed “Enterprise”, Braga ha inanellato una sfilza di chiusure: “Threshold”, l’ottava e ultima stagione di “24″, “Flash Forward” e, per finire, “Terra Nova”. Il fatto è che non si può neanche dire che lui produca solo brutte cose, anzi! Al di là di qualche cosa da sistemare, infatti, sia “Threshold” che “Flash Forward” erano serie potenzialmente interessanti che, forse, avrebbero meritato di potersi esprimere meglio con una seconda stagione. “24″, poi, non si discute, essendo probabilmente il telefilm più adrenalinico e crea dipendenza della storia della tv. Fatto sta che, per un motivo o per l’altro, se arriva Braga a produrre, la serie chiude (per il prossimo anno, forse, possiamo tirare un sospiro di sollievo e arrischiarci ad appassionarci a qualche nuovo telefilm perché al momento sembra non sia impegnato a produrne nessuno).

Al di là dei nomi coinvolti o delle capacità recitative dei singoli attori, però, ci son svariate ragioni per non rimpiangere “Terra Nova”.
Intanto c’è subito da dire che la computer grafica sfoggiata nel primo episodio per stupire gli spettatori con panorami futuristici e dinosauri realistici, già dalla seconda puntata risulta enormemente ridimensionata. Il futuro diviene un lontano ricordo non più mostrato; mentre gli animali vengono fatti vedere pochissimo e quando avviene appaiono decisamente appiccicaticci e finti. Una CG leggermente più credibile tornerà a farsi viva solo nel finale di stagione, ma ormai il danno sarà fatto.
Un altro elemento a sfavore di “Terra Nova”, poi, son gli stereotipi. Gli stereotipi possono essere utilissimi per caratterizzare velocemente qualche personaggio di contorno, così che gli spettatori capiscano subito con chi hanno a che fare senza doverne raccontare tutta la vita. Purtroppo la stessa cosa non funziona se i protagonisti stessi sono degli stereotipi, perché, se no, il telefilm stesso diventa una noia mortale. Oltretutto, nel bene e nel male, “Terra Nova” arriva dopo uno spartiacque epocale come “Lost” che ha del tutto cambiato le carte in tavola nel modo di fare serie tv. Se c’era una cosa che rendeva splendida la prima stagione di “Lost”, infatti, era il non sapere mai cosa aspettarsi da ogni personaggio, questo perché a ogni puntata chi era buono diventava cattivo e chi era cattivo diventava buono: si continuavano a scoprire particolari del passato di ognuno di loro che li faceva vedere con occhi diversi. In “Terra Nova” non avviene nulla di simile, al contrario, nel momento in cui qualcuno tenta quasi di mettere in dubbio uno dei personaggi o di dargli qualche ombra, si è ben lesti nel chiarire (più allo spettatore che per dovere di trama) che il soggetto è senza dubbio buono (o cattivo). Questo fa sì che tutto risulti estremamente appiattito e che quelle che nascevano come motivazioni per i comportamenti di alcuni personaggi (ad esempio la ricerca della vendetta per il figlio del comandante Taylor), in definitiva appaiano solo come pretesti per far andare avanti la storia o l’episodio, ma senza sostanza. Insomma per i buoni ci son sempre mille e una scusa per giustificarne il comportamento, anche quando fanno qualcosa che appare sbagliato, mentre i motivi dei cattivi non sono neanche tali: fanno i cattivi perché son cattivi, nient’altro… c’era più approfondimento psicologico in Biancaneve e i Sette Nani.
Se si pensasse che i personaggi stereotipati siano l’unico difetto della serie, però, si sbaglierebbe di grosso, ce ne son altri anche strutturali. Ad esempio è incredibile notare il numero di filler presenti in una prima stagione composta da soli 13 episodi. Ci si aspetterebbe, infatti, che gli autori abbiano molte cose da dire in uno show appena nato e che tengano da parte gli episodi fini a se stessi per la terza o la quarta stagione, quando ci sarà da allungare il brodo… qui, invece, si potrebbe vedere il primo episodio, poi saltare direttamente agli ultimi 2 e non ci si perderebbe nulla in comprensione degli avvenimenti. Riallacciandoci al discorso su “Lost”, inoltre, come abbiamo potuto notare anche con “Alcatraz”, è ormai difficile fare una serie tv che continua a porre domande, ma non dà mai risposte. Il pubblico vuole, almeno ogni tanto, qualche contentino che tenga alta l’attenzione e desta la curiosità. Soprattutto vuole ancora stupirsi e se le risposte non sono all’altezza delle aspettative, allora son guai. In questa ottica, quindi, per fare un esempio tra i tanti, mal gliene incoglie agli sceneggiatori di “Terra Nova” avendo prima speculato sul fatto che, forse, quel periodo storico non è il nostro passato e non è neanche la stessa terra (una sonda, portata indietro nel tempo, non è mai stata ritrovata nel futuro), salvo poi perdere completamente per strada queste riflessioni e giustificare quegli strani geroglifici antichi di migliaia di anni, quei disegni bizzarri, quelle scritte in una lingua sconosciuta che nessuno comprende… come scritti dal figlio di Taylor per farli scoprire dal padre. Inutile e pretestuoso, di conseguenza, il tentativo in extremis di riattizzare la curiosità degli spettatori con la trovata della nave pirata (che sa davvero tanto di “Lost”, tanto valeva chiamare l’imbarcazione Black Rock).

Tutto così brutto, quindi? In realtà non proprio, se paragonata a un’altra serie tv prodotta da Spielberg e trasmessa quasi in contemporanea come “Falling Skies”, “Terra Nova” sembra perfino avere qualche freccia al proprio arco. Per quanto spesso piuttosto banalotte nel plot e scarse nella recitazione, almeno le puntate di “Terra Nova” avevano un po’ di ritmo (forse merito anche di un veterano come Jon Cassar, non a caso dietro alla macchina da presa dalla prima all’ultima stagione di “24″). Purtroppo, come abbiamo visto, questo non è stato un elemento sufficiente per decretarne la sopravvivenza e, forse, è stato anche meglio così.

mercoledì 4 luglio 2012

Alcatraz


J.J. Abrams è un nome che, ormai, tutti conoscono.
Dopo LOST, una serie tv dal successo e dal seguito eccezionale in tutto il mondo (la cui eco non si è ancora spenta, non fosse altro che per le polemiche riguardo al finale), è sembrato assurgere allo stadio di vero e proprio Re Mida. Questo, almeno, per le case di produzione di Hollywood, che hanno fatto a gara per contenderselo e per mettergli in mano i brand e i progetti più disparati (da Mission Impossible a Star Trek, passando per un buon numero di serie tv nuove di zecca).
In realtà il tempo ci ha mostrato come non tutto ciò che è stato toccato dal novello Re Mida si è davvero trasformato in oro. In alcuni casi è difficile capirne il motivo (ad esempio vedasi come una serie di qualità come Fringe stenti già da un paio di stagioni e quest’anno sia arrivata vicinissima a una prematura chiusura), in altri, invece, è sotto gli occhi di tutti. Non indugiamo oltre, quindi, e togliamo subito ogni dubbio sul fatto che Alcatraz appartiene a questa seconda categoria.

Non si tratta, semplicemente, del fatto che la serie sia stata messa in naftalina dopo la prima stagione. Un fatto simile è capitato a diversi serial, molti dei quali belli, interessanti, ben realizzati e con ottime prospettive di crescita. Purtroppo non sempre il fatto di essere un prodotto di qualità va di pari passo con gli ascolti e sappiamo che per le case produttrici contano solo quelli (senza considerare come spesso vi siano divergenze di gusti tra americani ed europei: una serie andata male oltre oceano può avere un buon seguito qui e viceversa). Alcatraz, però, non appartiene certamente a questo gruppo.

Eppure, fin dal primo episodio, sembravano esserci tutti gli ingredienti che avevano fatto la fortuna di altre serie di J.J. Abrams come Alias e, soprattutto, LOST.
Tutto si apre con un gran bel mistero: la notte del 21 Marzo 1963 gli occupanti dell’isola carceraria di Alcatraz, detenuti, secondini, direzione, etc. scompaiono nel nulla senza lasciare traccia. Il governo si affretta a nascondere le prove: chiude Alcatraz con delle scuse e inventa finti documenti di trasferimento dei detenuti in altre carceri in tutto il paese, detenuti che, ovviamente, in breve tempo risulteranno passati a miglior vita per malattia, incidenti e via dicendo.
In realtà già a questo punto sorgono dei dubbi e si evidenziano le prime incongruenze (e i parenti dei detenuti? nessuno che abbia provato ad andarli a trovare nei nuovi penitenziari? per non parlare dei parenti dei secondini, tutti spariscono e nessuno dice niente?), ma la sospensione dell’incredulità è già stata ampiamente allenata in 6 stagioni di LOST e lo spettatore tenta di accantonare momentaneamente le domande sperando che prima o poi arrivi qualche risposta.

Questo l’incipit.
La serie vera e propria inizia oggi, quando uno di quei detenuti scomparsi 50 anni prima, ricompare, non invecchiato di un solo giorno e con, apparentemente, una missione da compiere. Come spesso accade nelle serie tv: personaggi diversi tra loro e che non sembrano aver nulla a che fare gli uni con gli altri, finiscono (più o meno) casualmente a indagare tutti insieme per risolvere gli enigmi (da questo punto di vista si segnalano, quantomeno, Jorge Garcia, l’Hugo di LOST sempre simpaticissimo, e il veterano Sam Neill; gli altri, compresa Parminder Nagra, la dottoressa Nela Rasgotra di ER, invece, risultano piuttosto anonimi e sottotono per essere tra i protagonisti, tanto da ispirare ben poca simpatia o empatia per le loro sorti, molto meglio i personaggi di corollario come il dottore e il direttore del carcere).
Il fatto è che le puntate si susseguono e, più che le domande e i misteri, è la noia a cominciare a regnare sovrana. Il format scelto, infatti, è quello di dedicare ogni nuovo episodio a un nuovo diverso detenuto che ricompare. Questo fa sì che ogni puntata sia molto a sé stante, quasi visionabile indipendentemente dal resto della serie, ma già dopo le prime tre o quattro il plot diviene ripetitivo e stucchevole.
Il fil rouge della continuità, che aveva decretato parte del successo di LOST, in questo caso è assente, così come sono assenti quei finali sul climax che ti facevano andare in crisi d’astinenza appena terminava la puntata. Non viene, quindi, voglia di andare avanti, anzi, è forse con un po’ di timore di annoiarsi che si passa al successivo episodio.
Una cosa che, invece, Alcatraz riprende da LOST è il meccanismo dei flashback, in questo caso ambientati nel 1963, prima della scomparsa di tutti i residenti sull’isola-prigione. Dovrebbe essere un modo per inserire qualche ulteriore mistero e creare curiosità, ma spesso si rivela un meccanismo controproducente perché, a volte, si svelano fin troppi particolari. In questo modo quando poi i detective dei giorni nostri scoprono qualcosa di nuovo (soprattutto nel finale di stagione), non si tratta più di una rivelazione, almeno per lo spettatore, e tutto risulta piuttosto deludente.

A tutti questi difetti va chiaramente aggiunto il fatto di arrivare dopo LOST. Se quella serie aveva rappresentato una novità, in Alcatraz molte cose sanno di già visto. Il protrarre e il continuare ad aggiungere misteri su misteri, poi, in alcuni potrebbe ingenerare il timore che tutto vada a finire in niente, come già successo. Lecito, quindi, che molti di coloro che sin son scottati con LOST abbiano deciso di abbandonare la serie, temendo di farsi male di nuovo.
Timore, tra l’altro, molto ben riposto. Al di là della chiusura anticipata della serie che ci lascia con alcune domande inevase (molte meno di quelle che si potrebbe pensare, in verità), il finale di stagione è davvero deludente. Non staremo qui a raccontare gli avvenimenti o a fare spoiler, per chi dovesse decidere di sacrificare qualche ora della propria vita (come ahimè abbiamo fatto noi) per guardarla, basta dire che le scottanti rivelazioni sono tutte ampiamente prevedibili (quando non esplicitamente mostrate, se si segue con attenzione) e quelle che non lo sono, risultano essere piuttosto banali e scontate. In definitiva è proprio qui che, per usare una espressione colloquiale, “casca l’asino”. Proprio come con LOST, dopo tante elucubrazioni, tante congetture, tante teorie, una più fantasiosa, grandiosa, arzigogolata, dell’altra, quello che ci si trova tra le mani come spiegazione è qualcosa di tanto semplice e basilare da non essere quasi neanche una risposta, e che lascia delusi.

Nonostante, quindi, l’ultima puntata termini con uno di quei climax che, sulla carta, dovrebbero essere belli grossi, tanto da spingere lo spettatore a correre subito a consultare la guida tv per sapere quando sarà il prossimo episodio… si spegne il televisore quasi con una sensazione di liberazione al sapere che, finalmente, è terminata.