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mercoledì 26 settembre 2012

Battlestar Galactica


Quando una serie diviene, o può essere considerata, un capolavoro?

Soprattutto… è sempre possibile riconoscere immediatamente una serie capolavoro, già mentre viene messa in onda? O non bisogna, piuttosto, aspettare qualche anno, per vedere come risponderà alla prova del tempo? Se ha lasciato il segno e continua ad avere qualcosa da dire, nonostante il passare degli anni?

Facile affermare che serie come Star Trek TOS o la prima stagione di Spazio 1999 son capolavori, più difficile è dirlo se le serie son molto più vicine a noi.

Un problema, però, che non sembra porsi con Battlestar Galactica.

Tutto nasce con una serie TV dalle alterne fortune, creata inizialmente nel 1978 (per quanto fondata, pare, su una idea degli anni ’60) dalla ABC. Questa prima serie non ebbe successo e, anche a causa degli altissimi costi di produzione, venne presto interrotta. Alla prima serie fece seguito, a breve distanza, un rilancio con nuova trama e nuovi personaggi che naufragò in brevissimo tempo. Benché la prima serie fosse stata chiusa a causa dei bassi ascolti, infatti, sia il pubblico mainstream che i fan della prima ora presero malissimo il tentativo di reboot e boicottarono (probabilmente anche a causa del pessimo livello del prodotto, frutto di un budget bassissimo che costrinse a realizzare alcuni episodi riciclando spezzoni di altri film e telefilm) in massa la seconda serie.

Battlestar Galactica appariva, quindi, un titolo destinato a finire nel dimenticatoio. Invece, vuoi per gli effetti speciali della prima serie (assolutamente all’avanguardia per l’epoca), vuoi per il carisma di alcuni personaggi, vuoi perché il nome si è instillato nelle menti degli appassionati di fantascienza come qualcosa di mitico e mitologico, nel corso degli anni diversi son stati i tentativi di riportare sugli schermi la serie.

I nomi che si agitavano dietro le quinte son stati molti, da Glen A. Larson, creatore iniziale della serie, a veri e propri big come Brian Synger (regista de I Soliti Sospetti e X-Men 1 e 2, ma anche produttore di Doctor House). Nessuno di essi, però, ha avuto fortuna con le rispettive case di produzione.

Tocca, quindi, a Ronald D. Moore (già noto agli appassionati per svariati episodi di Star Trek TNG e Star Trek DS9), nel 2003, riuscire là dove in tanti avevano fallito. E si re-inizia proprio come era iniziata la prima, storica, serie, cioè con un telefilm con grandi effetti speciali.

La storia, inoltre, non è una riscrittura della serie originale, bensì una sorta di sua evoluzione. 50 anni dopo la fine della guerra tra umani e Cyloni (robot che si eran ribellati agli uomini loro creatori) narrata nella prima serie, la miccia si riaccende. Una nuova generazione di Cyloni lancia un attacco nucleare globale e simultaneo contro tutte le colonie di esseri umani. Il risultato è agghiacciante: oltre il 90% della razza umana viene cancellato in poche ore, si salvano solo poche migliaia di persone che fuggono a bordo di alcune astronavi spaziali.

In meno di 3 ore, la durata complessiva della miniserie che anticipa la nuova serie, Ronald D. Moore ci presenta una situazione assolutamente critica e drammatica come se ne son viste solo in pochissime altre occasioni e pone il primo mattone di una serie spettacolare destinata a divenire un capolavoro.

Già, perché ciò che avviene in questo inizio letteralmente “col botto” è, appunto, solo l’inizio. Non staremo a enumerare tutti gli avvenimenti e gli sconvolgimenti a cui andrà incontro la serie, anche per non togliere il piacere agli spettatori di scoprire da soli cosa gli riserva ogni nuovo episodio. Diremo solo che non si tratta di uno di quei titoli a cui piace sedersi sugli allori e porre in essere una certa situazione nelle prime puntate, per poi finire a riciclare all’infinito determinati schemi narrativi. Al contrario tutta la vicenda è in continuo divenire e, soprattutto, ogni svolta serve a presentare nuovi, interessanti, dilemmi, spesso etici e morali, come nella tradizione della migliore fantascienza letteraria.

Se è vero, come è vero, che una branca della science-fiction è definita “umanistica” per il suo essere allegoria di questioni socio-politiche attuali poste in ambientazioni futuristiche, come, ad esempio, quella di Philip K. Dick, Theodore Sturgeon, Clifford Simak, Robert Heinlein, in parte anche Isaac Asimov e molti altri, allora Battlestar Galactica può essere inserita nello stesso genere.

Ciò che colpisce, però, sopra a tutto, è il coraggio di alcune scelte di sceneggiatura, anche alla luce del momento storico in cui vengono fatte. Non molti avrebbero il fegato, perfino oggi, di scrivere singoli episodi dal punto di vista di terroristi kamikaze, disposti a tutto pur di porre fine al regime degli invasori. Ronald D. Moore dedica all’argomento quasi metà di una stagione e lo fa in tempi ben più vicini all’11 Settembre. Ma molti altri son gli esempi eclatanti di una profondità con pochi epigoni, ad esempio i dilemmi morali se sia lecito vietare gli aborti (quindi limitare la libertà di alcuni individui) quando la razza umana è così vicina all’estinzione o, ancora, se è giusto impedire gli scioperi e ridurre, in pratica, in schiavitù centinaia di persone, perché son le uniche capaci di produrre alcune materie prime che servono a tutta la comunità.

Temi forti, profondi, che in Battlestar Galactica non sono trattati con sufficienza, al contrario con sceneggiature interessanti e mai banali, capaci di regalare più di un brivido agli spettatori.

Tutto è oro quel che luccica, quindi?

In realtà no. Rimane, infatti, in sospeso la questione del finale che ha fatto storcere il naso a molti fan.

Anche in questo caso, però, è giusto e doveroso fare dei distinguo. Stabilire, cioè, una differenza tra quella che è la fine della vicenda narrata fin dal primo episodio, una fine che non avrebbe potuto essere differente (cosa che si intuisce fin da metà della terza stagione), e alcuni punti lasciati “in sospeso”.

Come molte serie ad essa contemporanee (come, ad esempio, LOST), anche Battlestar Galactica risente di alcune influenze e derive che potremmo definire “mistiche”. Non ci è dato sapere i motivi per cui una serie puramente fantascientifica ed estremamente razionale abbia ceduto alla tentazione di inserire degli angeli nella trama. Così come non ci è dato sapere come mai Ronald D. Moore, che fino all’ultimo è sempre riuscito a incastrare i tasselli del puzzle in maniera quasi maniacale, abbia improvvisamente mandato a monte una parte dell’affresco della serie per introdurvi delle variabili che non si prende neanche la briga di spiegare. Possiamo solo sospettare che ci siano state delle influenze da parte della produzione per l’aggiunta di questi elementi chiaramente poco coerenti. Fatto sta che molti dei fan hanno, giustamente, storto il naso.

Tuttavia, per quanto questi fattori abbiano ridotto in maniera inequivocabile il valore del finale, di certo non intaccano, invece, i meriti della serie nel suo complesso. Battlestar Galactica rimane (e sicuramente rimarrà a lungo) una pietra miliare della fantascienza televisiva, capace di imporre nuovi standard sia a livello di produzione (effetti speciali, regia, recitazione, costumi, scenografie) che, soprattutto, a livello di sceneggiature.

Una serie come questa non esce tutti i giorni: correte a recuperarla!