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mercoledì 6 marzo 2013

FRINGE


Quando J. J. Abrams lasciò LOST, per passare ad un’altra società cinematografica, la serie dei sopravvissuti al volo Oceanic 815 era ancora a livelli molto alti di apprezzamento da parte di pubblico e critica. L’abbandono del mentore, quindi, diede vita a sentimenti contrapposti: da una parte chi si sentiva tradito e temeva che LOST avrebbe avuto un crollo qualitativo (cosa che, in effetti, avvenne… ma non possiamo neanche giurare che con Abrams ancora al suo posto le cose sarebbero andate diversamente); dall’altra chi era già in fibrillazione per la nuova serie a cui avrebbe dato vita.

Il risultato di questo “cambio di casacca” fu, per l’appunto, il serial di cui ci occupiamo in questa recensione: FRINGE.

Stagione 1
Le attese erano alte, altissime. Forse proprio per questo l’inizio non è stato brillantissimo e dal successo immediato. Il motivo è presto detto: i primi 4 o 5 episodi riproducono sempre lo stesso medesimo plot narrativo.
Evento strano/inusuale/fantascientifico – indagine dell’FBI – il professore Walter Bishop ricorda di aver, forse, lavorato su qualcosa di simile anni e anni prima – ritrovamento degli appunti riguardanti l’esperimento – risoluzione (o simili) del caso.
I personaggi son simpatici e sembrano funzionare, gli attori bravi (Noble è favoloso e Jackson sorprende in positivo, soprattutto chi aveva delle riserve perché se lo ricordava in Dawson’s Creek), i casi sono molto “weird”, come la serie richiede, ma tutto questo non sembra essere sufficiente. Già dopo un paio di episodi, infatti, ci si comincia a chiedere se si tratta di un serial a episodi autoconclusivi (alla Signora in Giallo o alla Law & Order) o se ci sarà una sottotrama, come tutti sperano. Dopo un altro paio di puntate, il plot, ripetuto e fatto con lo stampino, comincia già a mostrare la corda e a stancare.
Per fortuna della serie, la maggior parte del pubblico ha tenuto duro ed è a questo punto che le cose migliorano progressivamente. La sottotrama emerge e lo fa dando un motivo preciso e sensato al fatto che i primi episodi sembravano tutti uguali, tanto che ci si ritrova a pensare che non poteva che essere così. Di puntata in puntata le storie si fanno sempre più legate le une alle altre e, anche se vi è una certa propensione a legare ogni episodio a un caso ben preciso, la sottotrama rimane sempre in primo piano. Sembra la perfetta via di mezzo tra un serial come LOST, in cui se perdevi una puntata eri finito, e uno come X-Files, probabilmente una delle principali fondi di ispirazione per J. J. Abrams nello scrivere FRINGE, visto che viene spesse volte citato.
Connubio perfetto anche da un altro punto di vista: a una prima occhiata, infatti, non sembra ci sia il continuo e pedissequo ricorso a misteri sempre più grandi e insolubili per tenere alta l’attenzione del pubblico. Certo, ci si domanda chi vi sia dietro a certi fatti, se vi sia una regia generale o se siano casi separati, ma quasi fin dall’inizio viene fatto un panorama chiaro e semplice del mondo in cui ci si muove e delle leggi che lo regolano.
Non tutto è ancora perfetto, sembra quasi che certi ingranaggi siano ancora un po’ farraginosi e necessitino di un po’ più di rodaggio, ma tutta la stagione è un crescendo e il finale, assolutamente da brividi (per gli americani ancor di più che per noi), lascia tutti in attesa del proseguo.

Stagione 2
Non accade spesso, ma talvolta succede che la seconda stagione di un serial sia addirittura migliore della prima. A FRINGE accade esattamente questo, perché riparte dal livello alto, molto alto, del finale della prima e da lì punta andare ancora più su, riuscendovi.
Soprattutto emerge, e non poteva essere altrimenti, in maniera sempre più prepotente il personaggio del professore Bishop, merito certamente delle capacità recitative di un John Noble in alcune puntate davvero in stato di grazia. Da personaggio quasi secondario, a cui si chiedeva un parere a seconda dell’occasione e sufficientemente bislacco per strappare un sorriso, Walter Bishop diviene sempre più protagonista e perno di tutta la serie.
In particolare, in questa seconda stagione, si infittiscono sempre più i rapporti con “l’altro lato”, divenendo ben presto una costante. Facciamo anche la conoscenza con il Walter Bishop dell’altra parte, lì divenuto segretario della difesa, uomo potentissimo e senza scrupoli, animato dall’odio e dalla sete di vendetta. Noble, al netto del trucco, riesce a dare ai due personaggi una impostazione così diversa, nella gestualità, nell’atteggiamento, nel modo di porsi e di camminare, che si stenta a credere si tratti dello stesso attore.
Nel frattempo la trama evolve e sposta, leggermente, il punto di fuoco rispetto alla prima stagione. Si tratta di un processo graduale che dà pienamente allo spettatore l’impressione che non si tratti di qualcosa di casuale o inventato lì per lì, ma pianificato fin dall’inizio. Insomma, gli scrittori sembrano aver avuto chiaro fin dall’inizio dove volevano andare a parare e che non stiano procedendo a tentoni (come, invece, in contemporanea appare sempre più evidente in LOST).
Proprio i paragoni con LOST diventano sempre più frequenti e non può essere altrimenti, avendo i due serial lo stesso papà. Forse è questo che fa allontanare qualche spettatore, di certo non la qualità della serie, che sembra migliorare di puntata in puntata. Nonostante questo, evidentemente, qualcuno deve aver fatto un ragionamento tipo: “meglio lasciar finché siamo ad alti livelli, che scottarmi quando tutto precipiterà…”. Discorso, forse, condivisibile solo in parte, visto che la cavalcata di FRINGE non sembra volersi arrestare, fino a un finale, di nuovo, da brividi e al cardiopalma.

Stagione 3
Si riprende, come sempre, là dove avevamo lasciato e l’impressione è che siamo, di nuovo, di fronte a un crescendo. L’idea, brillante, dei primi episodi, è quella di alternare una puntata ambientata nel nostro mondo con una “dall’altro lato”. Già la sigla ci anticipa la realtà: blu di qua, rosso di là. Questo farci vedere il proseguo degli eventi in contemporanea funziona benissimo per tenere alta l’attenzione del pubblico, soprattutto quando la singola puntata termina con un mezzo climax. E’ la stessa tecnica che usano alcuni scrittori di romanzi come Dean R. Koontz o Valerio Evangelisti, se il lettore si appassiona a certi eventi e tu li interrompi sul più bello, vorrà sapere cosa succede dopo, per questo correrà a leggere il capitolo successivo, ma anche quest’ultimo terminerà con un colpo di scena, costringendo di nuovo il lettore a proseguire, avvinghiandolo così in una lettura compulsiva. Cambia il mezzo, ma il sistema e il risultato non cambiano.
L’inizio, dunque, è dei migliori, il proseguo, però, e soprattutto la seconda metà della stagione, invece, cominciano a mostrare qualche incrinatura.
Nulla di particolarmente grave, anche perché arrivati a questo punto l’alchimia che si è creata tra i protagonisti è ottima e si trasmette agli spettatori che provano una genuina simpatia per loro (un po’, come, di nuovo facendo un paragone letterario, si instaura tra lettore e protagonisti dei romanzi). Qui e là qualche puntata forse un po’ troppo autoconclusiva o che si rivela, in fondo, inutile al proseguo della trama principale, c’è e fa un po’ storcere il naso.
Inoltre ci si rende conto che il punto focale della serie si è nuovamente spostato, questa volta, però, in maniera abbastanza netta. Tanto che tutta la stagione appare quasi come una nuova storia e non come il naturale proseguo delle due precedenti. Forse non ce ne si accorge subito durante la visione, ma a bocce ferme, riguardandosi indietro, ci si rende conto che tutta la vicenda, per quanto magari bella e interessante, è una storia a sé stante. L’effetto, inoltre, verrà ulteriormente acuito con la visione della successiva…

Stagione 4
Il finale della terza stagione porta a una riscrittura, vera e propria, di tutto ciò che sapevamo di FRINGE fino a quel momento. Tra citazioni da episodi della prima stagione, vecchi nemici che ritornano e il dover fare i conti con questa nuova “realtà”, i primi episodi scivolano via molto bene. A tutto questo, inoltre, si aggiunge quell’effetto di simpatia, di cui avevamo già parlato, che fa sì che ci si appassioni per la sorte dei protagonisti, anche quando, magari, il plot delle singole puntate non sia nulla di particolarmente originale.
Un fatto, questo, di certo ampiamente previsto dagli sceneggiatori che, infatti, iniziano a dare sempre più spazio e importanza ai rapporti sentimentali tra i membri della “famiglia Bishop”. Una scelta che, per certi versi, non si può certo dire che paghi. Se, infatti, su molti riesce a far presa, altrettanti, se non di più, son quelli che lasciano la serie. L’emorragia di spettatori, infatti, appare quasi inarrestabile, complice (dobbiamo dirlo) anche una programmazione schizofrenica da parte del network che continua a spostare giorno e ora di messa in onda del serial, spesso facendogli saltare una o due settimane senza alcun preavviso. Ovvio che questo non aiuti a fidelizzare lo spettatore, neanche se fossimo in presenza della miglior serie della tv.
Ma torniamo a parlare della stagione. Dopo un inizio contraddistinto da alcuni episodi piuttosto autoconclusivi, che ci mostrano come funzionano le cose, poco a poco riemerge una sottotrama comune. Anche in questa occasione si ha l’impressione che tutta la stagione funzioni come una sorta di storia autoconclusiva, come già nel caso della terza, ma almeno vi è la giustificazione delle condizioni particolari da cui nasce. Il finale, però, è molto bello e riesce a far passare in secondo piano diversi dubbi riguardo alla conduzione della serie.
Proprio questo finale avrebbe potuto essere quello definitivo di FRINGE. La Fox, infatti, in seguito al calo verticale di spettatori, aveva deciso di chiudere la serie e di non produrre la conclusiva quinta stagione. Se fosse stato così, per quanto con l’amaro in bocca di alcuni filoni narrativi lasciati in sospeso, avrebbe anche potuto funzionare, proprio per via della natura piuttosto autoconclusiva che avevano assunto le ultime due stagioni.

Stagione 5
Dopo un lungo tira e molla tra cast, produzione e network, alla fine si giunge alla conclusione di produrre la quinta e definitiva stagione di FRINGE, a patto, però, che sia una stagione “ridotta” di soli 13 episodi. In realtà questa scelta è stata forse la cosa migliore che poteva capitare alla serie.
I nodi ancora da sciogliere non sono molti, ciò nonostante sembra che gli sceneggiatori si mettano d’impegno per complicare senza motivo tutta la situazione. L’incipit è ottimo, con un salto temporale di svariati anni che ci precipita in una realtà del tutto nuova. Da quel momento in poi, però, alcune scelte non appaiono del tutto condivisibili.
Innanzitutto lo spazio sempre più ampio lasciato ai rapporti tra i protagonisti, che ben presto diventano la parte principale delle vicende, mettendo spesso addirittura in ombra il proseguo della storia principale. Se all’inizio aiutano a sentirsi più vicini ai protagonisti, ben presto risultano solo noiosi, prolissi e ripetitivi, tanto da sembrare solo un riempitivo per raggiungere il minutaggio necessario per ogni puntata.
Inoltre, d’accordo porre ostacoli sul cammino dei protagonisti, così come è ovvio che bisogna “inventarsi” qualcosa per rendere ogni episodio degno di essere visto. Bene, quindi, la trovata di una sorta di caccia al tesoro che di puntata in puntata ci dovrebbe portare un passo più vicino alla conclusione di tutta la vicenda. Un po’ meno bene quando si passa, fin troppo facilmente, da: “ogni pezzo del puzzle è fondamentale, altrimenti non funzionerà!” (con personaggi in situazioni drammaticissime e di fronte a scelte di vita o di morte) a “massì, di questo possiamo anche farne a meno, tanto è lo stesso”. Come non capire e giustificare, in queste occasioni, lo spettatore che, giustamente, si sente preso in giro?
Di fronte a simili situazioni, quindi, tanto meglio una stagione di soli 13 episodi, perché in alcuni frangenti il brodo sembra talmente tanto allungato, che non abbiamo il coraggio di pensare a cosa sarebbe successo con una stagione di 20/22 puntate.
Ad ogni modo, tra alti e bassi, finalmente si giunge alla conclusione. Una conclusione che, come ormai era divenuto evidente con le stagioni 3 e 4, si sarebbe focalizzata a chiudere e terminare principalmente la stagione 5, più che l’intera serie. Certo, qualche rimando c’è, che va anche a riprendere e a spiegare delle questioni insolute fin dalla prima stagione, ma è evidente che i riferimenti maggiori son a quest’ultima stagione.
Diciamo, inoltre, che per quanto molti fan siano rimasti un po’ delusi da questo finale, forse, un po’ semplicistico, bisogna anche ammettere che è meno peggio di quanto appaia inizialmente. Quantomeno, questa volta, non vi sono rimandi religiosi-metafisici-esoterici (come era accaduto in LOST o in Battlestar Galactica) e tutto rimane, per fortuna, legato al mero ambito fantascientifico. Visti i precedenti, ad alcuni è probabilmente già bastato questo per tirare un sospiro di sollievo, d’altra parte, però, si poteva anche fare qualcosa di molto meglio.

Per concludere, FRINGE è una serie che, nata sotto grandi auspici, ha sicuramente vissuto notevoli alti e bassi. Alcuni per merito (o demerito) proprio, altri a causa di fattori esterni come le scelte del network e gli umori del pubblico americano. In generale, però, conclusa la visione anche di questa quinta e ultima stagione, si può dire che sia una serie nel complesso più che valida e che merita una visione. L’incapacità di mantenere alta la qualità come nelle prime stagioni (che in questo è stata molto alta) è una caratteristica comune, praticamente, a tutte le serie che si rivolgono al pubblico più generalista (fanno eccezione solo i titoli che vanno su canali a pagamento come HBO). Nel caso di FRINGE, però, ci sembra che il calo non sia stato così evidente come in molte altre; e anche l’ultima stagione, per quanto ben lontana dai livelli più alti della prima o, ancor più, della seconda, non ci sembra sfiguri poi così tanto. Il finale, inoltre, per quanto forse un po’ deludente (almeno per chi si aspettava qualche imprevedibile colpo di scena o qualcosa di più spettacolare), è sorprendentemente coerente, un fatto su cui ben pochi, ormai, osavano sperare e questo, già da solo, dà a tutta la serie qualche punto in più.